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Filippo Scicchitano: «La recitazione? Un amore nato a 16 anni.»

12 marzo 2021

di Valentina Galdo

Filippo Scicchitano non ha dubbi sul suo futuro, la recitazione è la sua vocazione. Un incontro avvenuto dieci anni fa con Scialla! che gli ha cambiato la vita. Se prima non sapeva dove incanalare le sue energie, è nel mestiere dell’attore che vede una rinascita. Un talento in continua crescita che, grazie ad importanti incontri e progetti, gli permette di formarsi e migliorarsi costantemente. Se Scialla! è il suo trampolino di lancio, è con Ferzan Ozpetek che conferma la sua dote recitativa. Attualmente impegnato con la fiction Le indagini di Lolita Lobosco su Rai1, Filippo Scicchitano non si pone limiti e vede nel cinema e nella televisione sempre nuove opportunità.

Vorrei ripercorrere con te l’inizio della tua carriera. Sei per la prima volta sul grande schermo in Scialla! di Francesco Bruni. Un film che ha vinto diversi premi tra cui un David di Donatello e un Nastro d’Argento. Raccontami come ti sei sentito ad essere stato scelto per interpretare il protagonista Luca e, recitare insieme ad un attore rinomato come Fabrizio Bentivoglio.

«Sai, ricordarmelo è molto semplice, non solo perché è stato il primo film che ho girato, ma anche perché ne sono particolarmente legato. Ha avuto talmente tanto successo che mi ha permesso di continuare a fare questo lavoro. Ricordo che provavo un po' di paura, sia perché era la mia prima esperienza da attore sia perché recitare assieme a Fabrizio Bentivoglio non era cosa da poco. Interpretare Luca di fronte ad una cinquantina di persone, inizialmente mi ha intimorito, ma era solo una questione di abitudine. Mi sono concentrato e ho provato ad essere il più naturale possibile per poter fare al meglio il mio lavoro.»


Il film affronta il tema del rapporto padre figlio. Avevi sedici anni quando hai interpretato Luca ed era il tuo primo film. Cosa ti ha permesso di calarti così egregiamente nel ruolo?

«Posso dirti che ho voluto portare in scena quello che fino ad allora era stato il mio percorso di vita. Anche perché a sedici anni non si ha ancora un bagaglio di esperienze così pesante. Sono cresciuto con mia madre e su di me avevo già qualche ferita che ho deciso di far emergere nel mio personaggio. Non credo sia stata una coincidenza iniziare proprio con quel ruolo.»


Nel 2012 sei Marco in Un giorno speciale con la regia di Francesca Comencini. Il film è stato presentato alla 69° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Perché hai deciso di accettare questo ruolo?

«La parte l’ho accettata perché, dato il successo di Scialla!, mi sentivo un po' responsabilizzato nel fare una scelta di qualità per quelli che sarebbero stati i miei progetti futuri. Era come se, in quel momento, volessi dare un certo spessore alle mie scelte artistiche, anche se nel corso degli anni mi sono reso conto che non è facile ottenere sempre successo con ogni film che fai. Un giorno speciale è capitato al momento giusto. Credo che Francesca Comencini mi abbia voluto grazie al successo di Scialla! e perché penso mi abbia davvero apprezzato come attore.»


Il mestiere dell’attore è in continua evoluzione, ci sono sempre nuovi progetti e stimoli che possono aiutare nella carriera e nella formazione artistica di un interprete. Cosa hai imparato fino ad ora?

«Ho scoperto che ad ogni progetto si riparte da capo. Puoi girare anche venti o trenta film ma non cambia nulla, ti imbarchi in un altro progetto e da lì inizia una nuova avventura. Quando si presentavano dei momenti di difficoltà, magari durante le riprese, mi facevo forza con quello che avevo già fatto in passato. Inoltre, ogni volta che leggo un copione, cerco di capire cosa potrebbe andare bene per la costruzione del personaggio. Trovare un equilibrio portando in scena quello che fa parte di noi e togliere quello che non valorizzerebbe il ruolo da interpretare. È un’analisi semplice ma funziona davvero.»


Hai lavorato con Ferzan Özpetek in Allaciate le cinture. Un’opera orchestrata in maniera sublime con un finale a dir poco commovente. Credo che essere chiamati a recitare in un film firmato Özpetek, sia la conferma che il talento di quell’attore e attrice sia indiscutibile. Proprio perché nei film di Ferzan nulla stona e tutto risuona perfettamente. Come ti sei trovato a essere nella “scuderia” di un grande regista?

«Lavorare con Ferzan è stato un punto di svolta nella mia carriera. Mi ha insegnato molto e ho potuto provare sulla mia pelle cosa significasse essere diretti da un regista come lui. Come hai giustamente notato, tutto deve funzionare e tutto effettivamente funziona. È costantemente a fianco ad ogni attore con la sua professionalità e dedizione. Mi ricordo che eravamo a Lecce, insieme a Kasia Smutinak e Francesco Arca, Ferzan voleva che rimanessimo sul territorio per non distrarci dai nostri personaggi, anche quando non dovevamo girare. A ripensarci, ora mi sembra tutto normale ma avevo diciannove anni e stavo vivendo un grande momento di crescita personale. Grazie a lui, ho potuto sperimentare un ulteriore punto di vista sulla recitazione. Credo, infatti, che il modo migliore per formarsi sia lavorare.»


Per te, cos’è la recitazione?

«La recitazione è tutto, mi riempie costantemente. È come quando provi a fare qualcosa, vedi che sei bravo, ti appassioni e poi non ne riesci a fare a meno. Diventa la tua vita. Posso definirlo un vero e proprio incontro d’amore.»


Nel 2018 fai parte del cast del film Il confine di Carlo Carlei. Una miniserie televisiva che racconta la storia di tre ragazzi alla fine del primo conflitto mondiale ed è ambientata a Trieste. Quanto tempo sono durate le riprese? Hai avuto la possibilità di conoscere questa città?

«Le riprese sono durate due mesi, abbiamo girato a Gorizia, Trieste e in provincia di Udine, Venzone per essere precisi. Sono stato due settimane a Trieste e non me le scorderò mai, è davvero bellissima come città e mi è rimasta nel cuore. Era un progetto che commemorava i 100 anni dal conflitto della Prima Guerra Mondiale. Ci tenevo a parteciparvi.»


Lavorare all’estero, per un attore, è un ulteriore punto di crescita. Cosa ne pensi?

«Credo che lavorare all’estero sia l’obiettivo di ogni attore, significa crescere talmente tanto da riuscire a recitare in un’altra lingua e avere ancora più possibilità di lavorare al di fuori della nazione. Sapere l’inglese è fondamentale e per quanto riguarda me devo ancora migliorare. Il desiderio è legittimo e fa parte dall’ambizione di ognuno. Nella vita non si può mai dire, se ci saranno delle opportunità così grandi bisognerà prenderle al volo.»


Lo Streaming è un argomento molto attuale, si creano diverse correnti di pensiero. C’è chi vede in questi servizi un’opportunità, una maggiore visibilità e convenienza. C’è chi crede che queste piattaforme possano allontanare da quella che è l’anima del cinema.

«In questo momento non c’è molta alternativa, data la chiusura dei cinema. Siamo obbligati ad utilizzare queste piattaforme per continuare a produrre e vedere film. Ma il cinema è il cinema, è insostituibile e ti permette di vivere un’altra esperienza diversa rispetto allo streaming. Va bene che avanzino queste grandi piattaforme, anche perché offrono molto allo spettatore, ma ci si deve ricordare che il cinema è un’altra cosa. Non è stare a casa.»


La pandemia sembra non darci ancora tregua. Come hai vissuto fino ad ora questa delicata situazione?

«Inizialmente è stato uno shock per tutti. Personalmente non l’ho vissuta malissimo fino ad un certo punto. Sebbene uno possa amare ritagliarsi dei momenti per sé stesso, siamo fatti per vivere insieme e condividere. Ciò che stiamo vivendo non è sano e stanno sempre più emergendo le nevrosi o la rabbia (giustificata) delle persone, perché siamo semplicemente stanchi. Se l’anno scorso siamo riusciti ad apprezzare cose che prima davamo per scontate, ora cominciamo a vivere un periodo abbastanza lungo e non è facile gestirlo. L’unica cosa che ci si può augurare è che finisca presto.»


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