Irene Casagrande:«Scegliere è fondamentale. È ciò che ci fa sentir liberi di essere noi stessi».
- Valentina Morena
- 19 feb 2021
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 22 feb 2021
17 febbraio 2021
di Valentina Galdo

Irene Casagrande ha quindici anni quando la scritturano per il ruolo di Alice, nella serie televisiva In Treatment. Un inizio carriera non comune, basti pensare che il primo attore con il quale ha lavorato è stato Sergio Castellito e, il suo personal coach Alba Rohrwacher. Irene, però, non nega che la gavetta è un rito di passaggio a cui nessuno può sfuggire. Se si poteva dare per scontato che la sua strada fosse già tracciata, è con l’Università che rivendica la libertà di poter scegliere chi voler essere. Nella sua vita, infatti, non c’è solo la recitazione ma anche lo studio. Irene sa per certo che l’unico modo per dare un significato al suo mestiere d’attrice è incanalare le sue energie anche in altri settori, e la ricerca è certamente uno di questi.
La tua carriera televisiva inizia nel 2013. Sei giovanissima e la tua prima apparizione è in una serie, In Treatment, accanto ad un cast eccezionale. Parlo di Sergio Castellitto, Valeria Golino, Michele Placido, Kasia Smutniak. Cosa hai provato? Raccontami un po' del tuo provino e dell’inizio delle riprese e, mi chiedo, ti sei resa conto che stavi avviando la tua carriera da un livello molto alto?
«Ricordo che fu in assoluto il mio primo provino, il mio insegnante di teatro aveva visto qualcosa in me e pensava che avrei potuto mettermi alla prova. Mi fece conoscere un agente di Roma, io sono del Veneto, e da lì ebbe inizio l’avventura. Avevo quindici anni quando feci il provino e lo vissi come un’esperienza fine a sé stessa. Onestamente, essendo così giovane non avevo metri di paragone, vedevo questo progetto come una crescita personale senza pensare a dove poteva portarmi. Anche perché a quell’età ero a scuola e lo studio lo vivevo già come passione. Tutt’ora, infatti, sono iscritta all’Università. La recitazione la vivo come qualcosa che mi è capitata, che voglio integrare nella mia vita sia a livello umano che artistico. Era chiaro, però, che seppur avessi cominciato la mia carriera con una grande produzione, non potevo sottrarmi dalla gavetta. Una conseguenza che ho dovuto accettare ma senza troppe difficoltà. Mi sono sentita privilegiata a dare inizio al mio lavoro in questo modo. Sin da subito sono entrata in un’ottica di estrema serietà che ho portato avanti durante la mia crescita, con lo studio e con il lavoro.»
Nella serie interpreti Alice, una ragazza adolescente che ha tentato il suicidio, in cura dallo psicoterapeuta Giovanni Mari (Sergio Castellitto). Il tema del suicidio è un argomento molto delicato, come sei riuscita a calarti nel personaggio? Anche tu come Alice eri un’adolescente, da cosa hai attinto per poter interpretare il ruolo?
«Anche se l’approccio verso il provino era stato molto leggero, il ruolo non lo era affatto. Per impersonare al meglio Alice mi è stata affiancata in una prima fase la direttrice del casting Jorgelina De Petris. Successivamente Alba Rohrwacher, con la quale ho studiato per circa un mese prima dell’inizio delle riprese. È stata davvero generosa nei miei confronti e mi ha fornito gli strumenti adeguati per immergermi nel ruolo. Il tema del suicidio, anche per Alice, è un tema molto particolare che scopre durante il suo percorso insieme allo psicoterapeuta. C’è molta ambiguità, un senso di vuoto dentro la giovane ragazza, sentimenti contrastanti dominano il personaggio. In primo luogo, la paura di non riuscire ad ammettere che tutto è un po' più grande di lei e che il suo sentirsi piccola ha messo a repentaglio la sua vita. Durante le riprese tutto era molto inteso, soprattutto recitare con Sergio Castellitto. Alice era come un animaletto arrabbiato e, a tutti costi, voleva avere la risposta per capire perché si era spinta così oltre.»
Nella seria televisiva 1992, 1993 e 1994 sei Viola Notte, figlia del protagonista Leonardo Notte, alias Stefano Accorsi. Il tuo, è un personaggio secondario ma costante. Dal 2015 al 2019 interpreti lo stesso ruolo ma alle spalle cominci ad avere esperienze televisive e cinematografiche. Reciti in Una grande famiglia, in Uno per tuttie in Non uccidere. Secondo te, il tuo modo di recitare in 1993 e 1994 può essere stato influenzato sia dalla tua età ma, anche dai personaggi che hai interpretato successivamente?
«Penso che sia stata Viola a influenzare gli altri personaggi. Durante le riprese di 1992 ero davvero immatura, studiavo e lavoravo contemporaneamente, sentii come se la mia vita fosse divisa in due compartimenti: adolescente nel Veneto e attrice a Roma. Il personaggio di Viola mi ha accompagnato nella crescita ed è stato divertente incontrarla negli anni successivi, perché mi sono resa conto che in pochi anni ero cambiata. Ogni anno che passa, soprattutto quando siamo adolescenti, ci poniamo spesso la domanda “ma io chi sono?”.»
Essere accanto ad un grande attore, come Stefano Accorsi, cosa ti ha insegnato?
«Tantissimo. Come tutti i mestieri si ruba un po' con l’occhio e, trovarmi a fianco di grandi attori mi ha insegnato molto. Un’opportunità incredibile perché li ho osservati tantissimo (senza farmi vedere, spero). Il set è un mondo complesso, una squadra di persone che lavorano insieme e a quell’età ti senti piccola e un po' persa. Queste figure funzionavano da perni per la mia attenzione, mi sono sentita fortunata. Su ogni set si impara sempre qualcosa di nuovo, è un inesauribile fonte di scambio e di dialogo.»
Ti avvicini alla recitazione fin da piccolissima, infatti la tua formazione ha inizio all’accademia teatrale “Lorenzo Da Ponte”. Cosa ti ha affascinato di quel mondo per decidere di intraprendere la carriera da attrice?
«Voglio essere sincera, durante l’adolescenza si dava per scontato che quella sarebbe stata la mia strada. Scegliere di studiare è stato rivendicare una mia libera decisione, ho pensato che questa scelta aspettava solo ed esclusivamente a me. Sapevo che potevo essere ancora di più e mi spaventava l’idea di definirmi già così presto. L’innamoramento per la recitazione è stato qualcosa che è avvenuto nel tempo. Studiando all’Università antropologia, capii come poteva essere più profondo ed appagante dare un’interpretazione a un mestiere così pratico che è la recitazione. Sentii che potevo dare un significato ancora più ampio all’essere attrice, sia a livello sociale che politico. Essere attrice mi appartiene ma, lo combino con quest’altra sfera che necessito di esplorare. Anche perché è un lavoro che nei peggiori dei casi è discontinuo, lascia dei vuoti nella tua vita e per me è estremamente importante che questi vuoti siano riempiti. Tramite lo studio e a ricerca riesco a canalizzare le mie energie, creando un rapporto di scambio con quello che mi circonda attraverso molteplici canali.»
In un futuro ti vedi più come attrice cinematografica o teatrale? Cosa vorresti coltivare con maggior dedizione?
«Sicuramente mi auguro di poter avere altre occasioni per proseguire la mia carriera, da un punto di vista cinematografico. Il teatro, invece, è un sogno di cui sono innamorata, soprattutto da quella che è la densità antropologica dell’esperienza teatrale (di chi lo fa) e spettatoriale. Vorrei sentirmi antropologa quando recito e attrice quando studio. Sono due vasi comunicanti che mi permettono di dare un senso a chi sono, a chi voglio essere e a cosa vorrò costruire. Come persona, nel mio futuro non ci sono linee di demarcazione così forti.»
Progetti attuali o futuri?
«Vengo da un buon periodo in cui ho lavorato molto, mi sono potuta misurare con un approccio diverso. Ora è il momento di rimanere in attesa, ho fatto dei provini ma, come tutte le cose, c’è un momento in cui fai e uno in cui aspetti che le cose si evolvano.»
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