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Massimiliano Caiazzo:«La strada è lunga, ma sono disposto a percorrerla.»


Fotografia di Lucia Sabatelli

24 febbraio 2021

di Valentina Galdo


Sicuro di sé, determinato ma con i piedi per terra. Massimiliano Caiazzo alle scuole superiori sente un richiamo verso la recitazione e se ne innamora. A diciotto anni si iscrive alla Scuola di Cinema Méliès e dà lì ha inizio il suo cammino. Consapevole che la strada dell’attore è in salita, sa per certo che con fatica e dedizione riuscirà ad arrivare dove vuole. Un’intervista aperta e sincera dove Massimiliano si racconta sé stesso senza filtri.


Hai iniziato a studiare recitazione a diciotto anni alla Scuola di Cinema Méliès, a Napoli, guidata dall’attore Gianfelice Imparato. Successivamente hai proseguito con i tuoi studi a Roma con l’agente e acting coach Patrizia De Santis. A quell’età non è facile avere un traguardo e seguirlo con dedizione. Le distrazioni sono molte e può sembrare che tutto richieda troppo impegno. Rispetto ai tuoi coetanei, come sei riuscito e, tutt’ora stai riuscendo, a mantenere il tuo obiettivo e a proseguirlo?

«Se devo essere sincero, non è stato difficilissimo. Alle superiori, quando ti proponevano gli orientamenti universitari, non ne presi in considerazione nessuno perché sentii come un richiamo verso la recitazione. Quando iniziai a studiare alla Scuola Méliès mi resi conto che quella era l’occasione perfetta per entrare in contatto con veri e propri professionisti. Dopo qualche anno ho deciso comunque di iscrivermi all’Università, al DAMS. Credo che per ogni attore sia fondamentale avere una base di studio teorica, solo in questo modo riesci ad avere uno sguardo più critico sia verso te stesso che su ciò che ti circonda.»


Nel 2012 prendi parte a due cortometraggi: Sorrentum e Il simposio di Platone. Nel 2016 debutti in televisione con Furore, la serialità Mediaset diretta da Alessio Inturri e, nel 2020, sei Carmine Di Salvo, nella Rai Ficiton Mare Fuori diretta da Carmine Elia. Come descriveresti il mestiere dell’attore?

«Credo molto nella figura dell’attore artigiano che, grazie alla sua “cassetta degli attrezzi” può scegliere lo strumento più adeguato ad interpretare il ruolo. Di conseguenza, non relego la mia formazione ad un unico metodo, anche se apprezzo l’approccio metodico di Stanislavskij e di Strasberg. Invece, due insegnanti che sono state davvero rivelatrici, sono state Francesca De Savio presso il Duce International e Beatrice Pelliccia. Per questo lavoro ognuno ha un suo approccio al metodo e io cerco il mio. Questa è la cosa più bella, è come se avere un metodo significasse non averlo, è quasi un paradosso. Non sono ancora a questo livello ma ricerco questo tipo di libertà creativa. L’importante è approcciarsi ad ogni personaggio in maniera differente. Solo con lo studio e l’esperienza si possono raggiungere certi livelli.»


Secondo te, perché un attore è, alle volte, “ripetitivo” nei personaggi che interpreta?

«Le motivazioni possono essere molte. Alcuni lo fanno in maniera consapevole perché sono ormai dei mestieranti e magari non hanno più quella “miccia” dentro di sé. Può essere che i tempi sono stretti e l’attore non riesce a preparare adeguatamente il personaggio e, quando gli viene richiesto di essere “vero”, porta inconsciamente in scena sé stesso. Oppure è scelto proprio perché il personaggio è molto vicino a lui.»


Quali sono i tuoi attori di riferimento?

«Luca Marinelli perché ha un’anima di uno spessore sorprendente, PierFrancesco Favino è, invece, un fuoriclasse, forse uno dei pochi attori trasformisti che abbiamo in Italia. Mentre, in Elio Germano, mi affascina l’approccio che ha nei confronti della recitazione perché ha un punto di vista singolare.»


Quanto ti sei sentito emotivamente coinvolto nell’interpretare Carmine? È un personaggio impegnativo perché racchiude in sé molte sfaccettature. Un ragazzo che si è sentito escluso, in passato, ma non ha permesso a quelle circostanze di definire la persona che è. Integerrimo, va avanti per la sua strada e, se nel suo cammino trova qualcuno di cui si fida, è ancora disposto ad aprirsi.

«Sono sincero, con il senno di poi credo di averlo vissuto con molta inconsapevolezza. Tante cose le ho comprese negli anni a venire grazie alla maturità e allo studio. Anche se, quando interpretavo Carmine, mi sentivo molto coinvolto perché era un personaggio profondo e ad ampio raggio umano. Ricordo quando leggevo la sceneggiatura che mi commuovevo non solo per Carmine, ma anche per la storia.»


Carmine Elia è un regista, oramai, conosciutissimo. Ha diretto La dama velata, Il sistema, La porta rossa, per citarne alcuni. Come è stato lavorare assieme a lui?

«Lavorare con Carmine è stata tosta, è un regista esigente che però mi faceva sentire tutelato. Se facevo qualche sbaglio ero sicuro che mi avrebbe corretto. Il gruppo mi ha permesso di sentirmi a casa e a mio agio perché non ero l’unico alla prima esperienza così importante. Ci siamo aiutati a vicenda.»


Il personaggio di Carmine ti ha sicuramente dato tantissima popolarità, vanti ben 80 mila follower su Instagram. Come stai vivendo la notorietà ottenuta grazie al tuo personaggio?

«Mi fa davvero piacere che le persone si siano così affezionate a Carmine. Mare Fuori è una serie molto empatica che ha toccato il cuore delle persone che tutt’oggi continuano a farci domande, interagiscono con noi e chiedono di una seconda stagione. Dal punto di vista “social” cerco di restare con i piedi per terra, sennò questa “notorietà” rischia di mangiarmi. Mi ricordo spesso che sono un attore e non un influencer. Mi concentro sul mio mestiere, tutto il resto verrà da sé.»


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